IMPERIALISMI, COLONIALISMI E MASSACRI

Thiaroyè, 1944

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In un libro di storia francese («Histoire de l’Afrique occidentale francaise» di Marcel Chailley) si liquida in poche righe il massacro di Thiaroyè in Senegal. Ecco come: “Sono da sottolineare i gravi incidenti avvenuti il 28, 29 e 30 novembre e il 1 dicembre 1944 a Thiaroye, in Senegal. Alcuni fucilieri rimpatriati si ammutinavano. Si trattava di ex prigionieri, probabilmente contaminati dalla propaganda tedesca e dal sovvertimento dell’ordine francese in quel periodo difficile. Tali incidenti, che non ebbero al momento serie ripercussioni, verranno sfruttati, 15 anni più tardi, dal Partito africano dell’indipendenza». Un falso ignobile. Basta leggere altri libri («France and the Africans» dell’inglese Edward Mortimer) per sapere la verità. I ribelli di Thiaroyè vengono massacrati all’alba del 1 dicembre 1944 nel sonno. Dormono dopo la festa: quella che credevano una vittoria era solo un vile inganno. Dopo aver combattuto con i francesi in vari fronti della seconda guerra mondiale, un centinaio (il numero esatto non è stato noto) di fucilieri africani, soprattutto senegalesi, sono finalmente rimpatriati. Nel campo di transito a Thiaroyè, presso Dakar, scoprono che il salario pattuito non verrà pagato per intero. Il furto e l’arroganza sono la goccia che fa traboccare il vaso: si ribellano, prendono in ostaggio il comandante francese del campo. Trattative concitate per tre giorni, poi l’accordo: otterranno tutto quello che era stato promesso. Ai soldati africani basta la “parola d’onore”: rilasciano subito l’alto ufficiale e la sera festeggiano quella piccola, grande vittoria. Poche ore dopo vengono sorpresi nel sonno e massacrati dalle truppe francesi. Avevano combattuto contro il nazismo in nome della libertà ma restavano truppe coloniali, servi, senza dignità o diritti. La vicenda è stata narrata in un lungo film «Campo Thiaroyè» dello scrittore e regista senegalese Ousmane Sembene (straordinario anche il suo recente «Mooladè» sulle mutilazioni genitali) e di Thierno Faty Sow.(del Burkina faso). Se amate il cinema – e la storia moderna – recuperatelo dal catalogo Coe (coemilano@coeweb.org). Un episodio storico che brucia ancora, tant’è vero che il festival di Cannes nel 1987 rifiutò il film. Nel «Morandini, dizionario dei film» viene inquadrato come «un episodio storico che i libri di storia omettono, un orrendo crimine del colonialismo francese…». Uno dei tanti. L’Italia democratica ha più scheletri negli armadi dei francesi; quanto a film o documentari storici censurati ne abbiamo un bel po’ anche noi. (…)

 

1937, Gli orrori di Nanchino

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L’articolo si intitola «Corsa serrata fra i sottotenenti in lizza per l’abbattimento di 100 cinesi». Esce il 7 dicembre 1937 sul «Japan Advertiser». Eccone un brano: «Il sottotenente Mukai Toshiaki e il sottotenente Noda Takashi, entrambi in forza all’unità Katagiri di Kuyunk, che si stanno affrontando in una gara amichevolr su chi riuscirà ad abbattere con la spada 100 nemici cinesi prima che le forze giapponesi occupino Nanchino, si trovano ormai alle fasi conclusive dell’incontro. Fino a domenica scorsa, secondo l’Ashai Shimbun, il punteggio era: sottotenente Mukai 89, sottotenente Noda 78». Quell’articolo viene ripreso, nel 1997, in un libro famoso «Lo stupro di Nanchino» (in italiano dall’editore Corbaccio) della cino-americana Iris Chang. Lo cita anche, nel 2009, Gian Antonio Stella nel suo «Negri, froci, giudei & co.» ricordando che ben pochi giapponesi hanno ammesso le loro responsabilità ma soprattutto che nei testi scolastici nipponici manca ogni riferimento al massacro di Nanchino, alla creazionedei bordelli-prigione o all’unità 731 diretta dal biologo Shiro Ishii, soprannominato «il dottor Mengele giapponese». Nel 1937 Nanchino era la capitale cinese. Cade nelle mani giapponesi il 13 dicembre 1937: massacri, stupri e saccheggi vanno avanti per mesi. Secondo le stime del Tribunale militare internazionale per l’Estremo Oriente (una sorta di Norimberga giapponese che si svolse fra il 1946 e il 1948) sono oltre 200 mila i civili e prigionieri di guerra assassinati a Nanchino e nei dintorni, solo nelle prime 6 settimane di occupazione. Per molti studiosi (fra cui Iris Chang) la cifra più vicina al vero è 300mila. Nel dicembre 2007 alcuni documenti statunitensi (fino ad allora segreti) fanno salire il numero dei morti di Nanchino a mezzo milione. Se qualcuno si chiede come mai gli Usa furono così reticenti sui massacri nipponici (e anzi diedero asilo ad alcuni “scienzati” noti come criminali di guerra) bisogna ricordare che a pochissimi anni dalla fine della seconda guerra mondiale il Giappone divenne un tassello fondamentale nella strategia anti-cinese. Il quadro storico nel quale avviene il massacro di Nanchino è la seconda guerra sino-giapponese. Dopo la battaglia di Shangai, il 6 agosto 1937 l’imperatore Hiro Hito ratifica la scelta di non rispettare i vincoli imposti dalle convenzioni internazionali per il trattamento dei prigionieri. Quando la guerra si avvicina a Nanchino quasi tutti gli occidentali se ne vanno, Fra i pochi a rimanere il tedesco John Rabe, dirigente della Siemens che qualcuno definì assurdamente «il nazista buono». Più di recente, Rabe è stato ribattezzato «lo Schindler di Nanchino» perchè in quel periodo riuscì a salvare decine di migliaia di cinesi. Le sue proteste, inviate in Germania, contro quegli orrori gli costarono il richiamo in patria e soprattutto l’arresto. Proprio il 7 dicembre 1937 l’esercito giapponese trasmette un dispaccio alle truppe avvisando che a Nanchino saccheggi, incendi, illegalità verranno puniti severamente. In realtà accade il contrario. Dopo un ultimatum, il 12 dicembre, le truppe cinesi si ritirano. I giapponesi entrano in città il giorno dopo, incontrando pochissima resistenza eppure si scatena ogni violenza persino con torture e teste mozzate. Vi sono molte testimonianze e persino il filmato di un missionario statunitense, John Magee, ma anche le confessioni – molti anni dopo – di alcuni veterani di guerra giapponesi fra i quali Shiro Azuma, Tominaga Sozo e il medico Nagatomi Hakudo. Il Tribunale Militare Internazionale per l’Estremo Oriente ha stabilito che vennero stuprate (spesso in pubblico) almeno 20.000 donne fra le quali anche bambine e anziane, molte delle quali poi furono uccise o mutilate mentre le altre venivano mandate nei bordelli-prigione. Ancor oggi il Giappone rifiuta di risarcire le vittime dei crimini di guerra e gli eredi delle cavie umane uccise dall’Unità 731 in Manciura. Ma fatica anche, al di là di qualche timida ammissione ufficiale, a fare i conti con gli orrori di Nanchino. Nel 2004 un’ondata nazionalista e militarista costringe una casa editrice di manga a ritirare il fumetto di Hiroshi Motomiya che ha trattato in modo “troppo” esplicito la strage di Nanchino. E intanto alcuni parlamentari giapponesi vanno a rendere omaggio al santuario di Yasukuniu dove sono seppelliti anche 7 criminali di guerra. Fra i non molti libri in italiano che affrontano quell’orrore rimosso vale segnalare il saggio «Fotografia, memoria e giustizia: la strage di Nanchino nel 1937» di Robert Chi nel volume «Dopo la violenza: costruzioni di memoria nel mondo contemporaneo» pubblicato nel 2005 dall’editore L’ancora del Mediterraneo e che riprende gli atti di un convegno del 2002. Trattando di memoria è d’obbligo un riferimento ai diversi modi nei quali i Paesi del patto “Roberto” (Roma, Berlino, Tokio) hanno affrontato nel dopoguerra i crimini di guerra. Quando uscì la traduzione italiana di «Lo stupro di Nanchino» il quotidiano «L’unità» diede ampio spazio al libro di Iris Chang e intervistò lo storico Gabriele Nissim chiedendogli, fra l’altro, se gli unici «vaccinati», cioè capaci di fare i conti con la propria stroria, fossero i tedeschi. E lui rispose di sì, ricordando come l’Italia ma anche l’Ungheria e la Bulgaria, Paesi alleati dei nazisti, o la Francia (per quel che riguarda la repubblica collaborazionista di Vicky) continuano, salvo poche eccezioni, a tacere e auto-assolversi.

http://danielebarbieri.wordpress.com/2011/12/09/scor-date-fra-28-novembre-e-8-dicembre/

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11 Risposte to “IMPERIALISMI, COLONIALISMI E MASSACRI”

  1. api Says:

    passo di prima mattina, solo ora, forse, il vento mi concede una connessione decente.
    passare di qui è sempre risvegliarsi da torpori dormienti, e rinfrescare la memoria a volte stanca, ma mai resa.
    grazie, Gino, per il tuo proporre .

  2. ginodicostanzo Says:

    Grazie a te e alla fonte … 😉

  3. D. Q. Says:

    Stai facendo un ottimo lavoro di memoria… 😉

  4. 00chicca00 Says:

    un saluto e un arrivederci a dopo il 26, che la vita ti sia propizia sempre!!
    chicca

  5. ginodicostanzo Says:

    Anche a te, Chicca mia, buone feste laiche e resistenti a te ed ai tuoi amori …
    Gino

  6. m0ra Says:

    Ciao Gino, ti auguro un buon anno.
    Sono ex-SinuoSaStrega, ora Mora.
    Un abbraccio

  7. ginodicostanzo Says:

    Uè, Sandra, che piacere ritrovarti! Tanti auguri a te, un abbraccio e a presto, (anche se sul web ci sto molto meno, adesso …)

  8. Elisabetta Maltese Says:

    Ti ho trovato!
    Sei da leggere, e con attenzione. Grazie.

    e.

  9. ginodicostanzo Says:

    grazie, Betta, a prestissimo. Un bacio

  10. pensierididonna Says:

    Che succede, Gino? Sei fermo da un pò…. Un sorriso

    Milena

  11. ginodicostanzo Says:

    Uè, Milena! ciao … sì, sono fermo col blog, sto proseguendo un po’ di controinformazione su FB, dove mi chiamo Andrea Onig. Ma col blog riprenderò a breve. Un abbraccio e a presto

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